Benasayag e Schmit, due psichiatri che si occupano di infanzia e adolescenza, descrivono questa come l’epoca delle passioni tristi in cui la crisi individuale si lega a doppio nodo con la crisi sociale: la fiducia nel futuro, l’autorità educativa e le relazioni di senso si sgretolano, generando un terreno in cui fioriscono le “passioni tristi”, ossia sentimenti di impotenza, inutilità, disorientamento.
Il concetto di passioni tristi è stato introdotto da Spinoza, che descrive le passioni come forze che ci muovono, che influenzano il nostro agire e il nostro pensare.
- Le passioni tristi sono quelle che ci indeboliscono, ci fanno sentire impotenti, piccoli, in balia degli eventi: ansia, paura, senso di colpa, vergogna, rassegnazione.
- Le passioni gioiose, al contrario, sono quelle che ci potenziano, ci fanno sentire vivi, capaci, liberi, ci collegano agli altri e ci spingono a costruire.
Perché prevalgono le passioni tristi? Perché siamo preda del disorientamento, noi adulti in prima battuta e i nostri figli di conseguenza. Nella società contemporanea assistiamo alla crisi dell’autorità, il crollo di un sistema simbolico in cui l’adulto era considerato figura di riferimento per senso, direzione e trasmissione di valori.
Nel tentativo di evitare l’autoritarismo, molti adulti sono scivolati in una relazione simmetrica con i bambini: “Siamo sullo stesso piano. Ti spiego tutto.” Ma un bambino di 4 anni non è un adulto in miniatura: ha bisogno di contenimento, guida e rassicurazione, non di essere “convinto razionalmente” a dormire o mangiare. Risultato: genitori disarmati, bambini “tirannici”, famiglie in stress.
Paradossalmente, dove manca l’autorità vera, rischia di emergere l’autoritarismo: la coercizione, la punizione, il controllo cieco. Perché? Perché, quando non si sa come farsi ascoltare, si alza la voce. Ma l’autorità autentica non è potere sull’altro, è riconoscimento da parte dell’altro.
Inoltre, i bambini crescono in contesti sempre più protetti: genitori che intervengono nella minima difficoltà, Interazioni mediate dentro contesti strutturati (scuole, associazioni sportive o culturali…). Sebbene l’intenzione sia positiva questa iperprotezione rischia di togliere loro occasioni fondamentali per imparare a gestire conflitti e frustrazioni. Senza queste esperienze, la capacità di farcela da soli vacilla, e l’ansia può diventare una compagna costante.
Uno studio longitudinale sull’ansia scolastica evidenzia un legame significativo tra atteggiamenti iperprotettivi e l’insorgenza di disagio scolastico, somatizzazione, bassa autostima e ritiro emotivo istitutosantachiara.it.
In Italia si registra una crescita preoccupante dell’ansia tra gli adolescenti:
- Oltre 1 adolescente su 2 (51,4%) dichiara di soffrire ricorrentemente di ansia o tristezza prolungata, secondo una consultazione condotta nel 2024 su 7.500 studenti dalla Garante per l’infanzia e l’adolescenza (Fonte: Garante Infanzia);
- Nel periodo 2019–2021, la percentuale di adolescenti (14–19 anni) in cattive condizioni di salute mentale è passata dal 13,8% al 20,9% Istat
- Uno sentimento di incertezza accomuna il 45% degli adolescenti, mentre il 32% presenta specificamente ansia legata al futuro (Fonte: Garante Infanzia);
- Il 49,4% degli adolescenti italiani è stato identificato come affetto da ansia o depressione dal progetto “Mi Vedete?” realizzato in collaborazione con Il Sole 24 Ore (Fonte: Innovation Island);
- Tra il 2018 e il 2022, la prevalenza di ansia e depressione tra i giovani under 20 è aumentata di circa il 20% (Fonte: MSD Salute).
Dati regionali
- 39% di ansia-depressione tra i giovani presi in carico da un progetto con Gemelli-Unicef: su 1.571 adolescenti, il 39% presentava sintomi affettivi rilevanti, di cui il 30% ansia e depressione; inoltre il 17% ha avuto accesso a psicoterapia, il 47% ha ricevuto un piano didattico personalizzato (Fonte: Radiolina Sardegnagol);
- Incremento del 40% nel numero di diagnosi di disturbi d’ansia e depressione presso i servizi di neuropsichiatria infantile, con un parallelismo al +30% nei tentativi di suicidio tra i giovani (Fonte: Agape);
- Interviste e istituti scolastici di Sassari raccontano di un’ansia diffusa: studenti che dormono poco, si isolano, manifestano ipersensibilità nelle interrogazioni, molti assumono psicofarmaci o ritengono impossibile frequentare in presenza (Fonte: La Nuova Sardegna);
- L’indice di salute mentale (scala SF‑36) tra i 14–19 anni è precipitato da 73,9 nel 2020 a 70,3 nel 2021 in Italia, con un lieve recupero a 72,6 nel 2022, ma di nuovo in calo a 71 nel 2023; decisamente peggiore tra le ragazze (67,4) rispetto ai ragazzi (74,3) (Fonte ISTAT).
Iperprotezione come panacea – o trappola?
Nel cercare di proteggere i figli da un universo percepito come ostile, i genitori adottano forme di ipercontrollo – il “vestirli di corazze” –, senza però accorgersi che:
- tolgono loro la possibilità di fare esperienza del conflitto;
- annullano l’occasione di gestire la frustrazione;
- neppure lasciano spazio all’inutilità creativa, motore di scoperta e resilienza.
Benasayag e Schmit vedono in questo contesto la radice del disagio: si toglie ai giovani la possibilità di imparare attraverso l’esperienza, anche dolorosa. Secondo gli autori, uno degli effetti collaterali più gravi dell’iperprotezione è che essa genera una forma di fragilità emotiva. I bambini che non sono mai stati messi alla prova dalle difficoltà e che non hanno avuto la possibilità di sperimentare la frustrazione, la delusione o il fallimento, mancano di strumenti adeguati per gestire le emozioni più difficili.
Questo fenomeno è confermato da studi psicologici che mostrano che la regolazione emotiva è un’abilità fondamentale per la salute mentale. La ricerca indica che bambini che non sviluppano questa competenza a causa di un ambiente troppo protetto sono più esposti a disturbi d’ansia, depressione e difficoltà sociali. Un bambino che non ha mai sperimentato il fallimento, infatti, avrà molta più difficoltà ad affrontare una delusione in futuro, sviluppando un senso di incapacità e una bassa autostima.
Inoltre, il contrasto tra la realtà percepita come protetta e quella esterna, che non è altrettanto accomodante, può creare un forte stress nei giovani. Quando si trovano a fronteggiare situazioni che non sono in grado di gestire, si sviluppa un ciclo di ansia che alimenta la sensazione di non riuscire a far fronte alle sfide. Il risultato? Una sindrome di impotenza appresa, dove il bambino si convince di non essere in grado di cambiare la propria realtà, portandolo a evitare situazioni che potrebbero mettere in luce le sue difficoltà emotive. I bambini che vivono in contesti troppo sicuri non sviluppano la resilienza, ovvero la capacità di recuperare dopo una difficoltà.
Per Benasayag e Schmit, la soluzione non è necessariamente eliminare la protezione, ma rivedere il concetto stesso di protezione. Occorre educare alla gestione delle difficoltà, alla consapevolezza che la frustrazione è parte integrante della vita e che da essa si può trarre un apprendimento emotivo fondamentale.
Un aspetto importante è educare i bambini a riconoscere e affrontare le proprie emozioni, a esprimere il loro dispiacere in modo sano e, soprattutto, a tollerare il dolore emotivo. La consapevolezza emotiva è la chiave per passare da un approccio reattivo a uno proattivo, dove il giovane è in grado di agire per migliorare la propria condizione invece di evitare o fuggire da essa.
L’adulto deve riappropriarsi del proprio ruolo simbolico: non come figura autoritaria, ma come presenza significativa, capace di riconoscere i limiti, accogliere l’angoscia e accompagnare i giovani nella costruzione di un’identità.
Quali percorsi possibili?
Educazione alla complessità e alla frustrazione: Occorre tornare a educare i giovani a stare nella complessità, nel dubbio, nel limite. La realtà non è tutta sotto controllo, non tutto è immediatamente risolvibile. Questa è una competenza cruciale per la salute mentale.
Restituire valore al futuro: È urgente ricostruire l’immaginario del futuro come possibilità, non come catastrofe. Questo richiede un lavoro collettivo, che coinvolga la scuola, le famiglie, i media. Non si tratta di illudere, ma di ridare senso alla speranza.
Contro l’imperversare delle “passioni tristi”, la sfida educativa oggi è coltivare passioni gioiose: il piacere di imparare, di costruire, di sentirsi parte, di contribuire, la cuoriosità. È su questo che si gioca la possibilità, per i nostri giovani, non solo di stare meglio, ma di vivere pienamente.
Sono le passioni gioiose a salvarci la vita a costruire legami.
Per approfondire:
salute.it+10Innovation Island+10rtl.it +10
garanteinfanzia.org+12Gli Stati Generali+12PerFormat Salute+12
Italia Informa+15MSD | Salute+15State of Mind+15
Istat+9La Nuova Sardegna+9Radiolina+9.